L'idea di movimento
Tre discorsi di Giovanni Paolo II
Costruite la civiltà della verità e dell'amore
Al Meeting per l'amicizia fra i popoli Rimini 29 agosto 1982
Carissimi fratelli e sorelle
1. Sono assai lieto di trovarmi qui, in mezzo a voi, per concludere questo terzo «Meeting per l'amicizia tra i popoli». Già solo il pronunciare queste parole rallegra il cuore: «Incontro»! «Incontro di amicizia»! «Amicizia tra i popoli»! Parole che acquistano un particolare significato in queste ore, spesso drammatiche, della storia del mondo. Vi saluto perciò con la gioia dei Salmi, è la gioia stessa di Dio: «Ecco, quant'è bello e quant'è soave, che i fratelli vivano insieme!» (Ps 132).
Viviamo oggi un'ora privilegiata, che occorre comprendere a fondo. I motivi sono tanti.
2. Anzitutto, stiamo vivendo un incontro.
Ognuno di voi, in questi giorni, ha potuto fare questa esperienza. Ha avuto incontri non solo con le centinaia e migliaia di altre persone che hanno affollato le sale di ascolto, ma anche con varie personalità, che qui hanno portato il contributo della loro riflessione e della loro creatività.
Ma questo incontro è stato reso possibile e quasi necessario da un altro incontro. Il Meeting è nato infatti dall'amicizia di un gruppo di cristiani di questa città. Come ho saputo, esso è nato dalla passione di comunicazione, di creatività, di dialogo che la fede cristiana, vissuta integralmente, sempre porta con sé.
Sì, la fede vissuta come riverbero e in continuità con quei primi incontri che il Vangelo documenta, la fede vissuta come certezza e domanda della presenza di Cristo dentro ogni situazione e occasione della vita, rende capaci di creare nuove forme di vita per l'uomo, rende desiderosi di comunicare e conoscere, di incontrare e valorizzare.
L'incontro con Cristo, che si rinnova in modo permanente nella memoria sacramentale della Sua Morte e Risurrezione, abilita e spinge all'incontro con i fratelli e con tutti gli uomini. Veramente, le parole di S. Pietro ai Tessalonicesi possono essere qui riprese, a conclusione e a insegnamento di questo vostro tentativo: «Vagliate ogni cosa, trattenete ciò che è buono» (1 Tes 5, 21).
Mi fa piacere che l'iniziativa sia espressione della vitalità del laicato cattolico in Italia: un tale laicato, «consapevole ed attivo, è una ricchezza inestimabile per ogni Chiesa locale», come ho detto ai vescovi della Liguria, 1'8 gennaio scorso (cfr. la traccia 1982 n. 1, da p. 31 a p. 33). Un laicato consapevole, cioè cosciente della comunione che lo lega a Cristo e alla Chiesa, e attivo, cioè desideroso di esprimere nella libertà delle iniziative la bellezza e l'umanità di ciò che ha incontrato. Questa è la bella realtà di questo incontro.
3. Quest'anno avete focalizzato la vostra attenzione su un tema particolarmente stimolante: «Le risorse dell'uomo». Vogliamo rifletterci insieme?
In generale, risorsa dell'uomo è tutto ciò che viene in suo aiuto nello sforzo per mantenersi in vita e per dominare la terra. Le cose, tuttavia, divengono veramente risorse dell'uomo solo quando l'uomo le incontra attraverso il lavoro. Attraverso il lavoro l'uomo domina la natura e pone al suo servizio tutte le cose. Attraverso il lavoro l'uomo si prende cura della terra, usa le sue ricchezze per la propria vita ed al tempo stesso migliora e difende la terra. Mi piace pertanto constatare come il vostro tema abbia il suo riferimento anzitutto alla grande ed attuale preoccupazione della Chiesa per il lavoro umano, che ha trovato espressione anche nella mia recente enciclica Laborem exercens. L'uomo infatti comunica con la realtà esterna soltanto attraverso la sua interiorità. Sono le risorse interiori della sua mente e del suo cuore a permettergli di elevarsi al di sopra delle cose e di dominare su di esse. L'uomo vale non in quanto «ha», ma in quanto «è». Per questo è necessario meditare con particolare profondità su quella decisiva risorsa dell'uomo che è il lavoro, per comprendere il momento disinteressato, puro, non utilitario che sta al fondo del lavoro umano e gli conferisce i1 suo significato.
4. Questo però si collega - e facciamo un passo avanti - con un'altra fondamentale risorsa dell'uomo: la famiglia.
L'uomo lavora per mantenere se stesso e la propria famiglia. Se lavorare è prendersi cura dell'essere, collaborando all'opera creatrice di Dio, questo principio generale diventa evidente ed esistenzialmente concreto per la maggior parte degli uomini nel fatto che, lavorando, I'uomo si prende cura della persona dei propri cari. Se certo è vero che l'uomo avverte come tutti gli animali l'istinto di autoconservazione, è anche vero che non è giusto porre al principio del lavoro una intenzione solo utilitaristica ed egoistica. Anche l'istinto di autoconservazione esiste nelI' uomo in forma specificamente umana, personalistica, come volontà di esistere come persona, come volontà di salvare il valore della persona in se stesso e negli altri, cominciando dai propri cari. Questo fatto definisce il limite di ogni interpretazione utilitaristica ed economicistica del lavoro umano.
Il lavoro, attraverso il quale l'uomo domina la natura, è opera dell'intera comunità umana attraverso tutte le generazioni. Ognuna di queste generazioni ha il compito di avere cura della terra per consegnarla alle generazioni future, ancora e sempre più adatta ad essere casa dell'uomo. Mi sia permesso ricordare, in questo contesto, sia pure incidentalmente, che quando si rompe il vincolo della solidarietà, che deve legare gli uomini fra loro e con le generazioni future, questa cura per la terra viene meno. E allora, la catastrofe ecologica, che oggi minaccia l'umanità, ha una profonda radice etica nella dimenticanza della vera natura del lavoro umano soprattutto della sua dimensione soggettiva, del suo valore per la comunità familiare e sociale. È compito della Chiesa richiamare l'attenzione degli uomini su questa verità.
5. Ma bisogna scendere maggiormente in profondità. Le risorse, pur sacrosante e primarie, di cui abbiamo parlato, toccano ancora abbastanza in superficie l'uomo. Occorre fare principalmente attenzione alle risorse che l uomo porta in se stesso: nella sua natura umana, nella dignità dell'immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 27), che l'uomo reca impressa nell'essenza della sua personalità. Vengono ancor sempre alla mente le note parole del grande Sant'Agostino, di cui ieri abbiamo celebrato la festa: Fecisti nos ad te: «Signore, ci hai fatti per te; e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Conf. 1,1).
Si, fratelli e sorelle, siamo fatti per il Signore, che ha stampato in noi l'orma immortale della sua potenza e del suo amore. Le grandi risorse dell'uomo nascono di qui, sono qui, e solo in Dio trovano la loro salvaguardia. L'uomo è grande per la sua intelligenza, mediante la quale conosce se stesso, gli altri, il mondo e Dio; l'uomo è grande per la sua volontà, per cui si dona nell'amore, fino a raggiungere vertici di eroismo. Su tali risorse trova fondamento l'anelito insopprimibile dell'uomo: quello che tende alla verità - ecco la vita dell'intelligenza - e quello che tende alla libertà - ecco il respiro della volontà. Qui l'uomo acquista la sua grande, incomparabile statura, che nessuno può calpestare, che nessuno può irridere, che nessuno può togliergli: quella dell'«essere», a cui ho già accennato.
Questo valore, proprio dell'uomo, per cui ogni uomo è veramente uomo, poggia sul fondamento della cultura: è soprattutto nella cultura che si manifestano le risorse essenziali dell'uomo: come ho detto alla sede dell' UNESCO, a Parigi, «L'uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura... La cultura è ciò per mezzo di cui l'uomo in quanto uomo diventa più uomo, "è" di più, eccede di più all' "essere"... La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che l'uomo è, mentre la sua relazione a ciò che ha, al suo "avere" è non solo secondaria, ma totalmente relativa... Nell'ambito culturale, l' uomo è sempre il primo dato: L'uomo è il dato primordiale e fondamentale della cultura. E questo, l' uomo lo è sempre: nell'insieme integrale della propria soggettività spirituale e materiale. Se la distinzione fra cultura spirituale e cultura materiale è giusta in funzione del carattere e del contenuto dei prodotti nei quali la cultura si manifesta, bisogna in` pari tempo constatare che, da una parte, le opere della cultura materiale fanno sempre apparire una "spiritualizzazione" della materia, una sottomissione dell'elemento materiale alle forze spirituali dell'uomo, cioè alla sua intelligenza e alla sua volontà e che, d'altra parte, le opere della cultura spirituale manifestano, in modo specifico, una "materializzazione" dello spirito, una incarnazione dello spirituale» (cfr. la traccia 1980 n. 6, da p. 472 a p. 478).
Ecco, la cultura diventa così fondamento delle capacità dell'uomo di scoprire e valorizzare tutte le risorse, quelle concesse al suo essere materiale. Purché le sappia scoprire! Purché non le distrugga! Fratelli e sorelle, pensate alla enorme responsabilità che avete nelle mani! Non sciupatela, non trascuratela! Avete bisogno di tutte le vostre forze per far questo. Ma soprattutto avete bisogno di Colui che è la forza di Dio e dell'uomo: «Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio» (I Cor 1,24).
Eccoci perciò al punto fondamentale, impreteribile della questione. La più grande «risorsa» dell'uomo è Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. In Lui si scoprono i lineamenti dell'uomo nuovo, realizzato in tutta la sua pienezza: dell'uomo per sé. In Cristo, Crocefisso e Risorto, si svela all'uomo la possibilità ed il modo secondo cui assumere in profonda unità tutta quanta la sua natura. Qui sta, direi, il principio unificatore del vostro Meeting, dedicato alle risorse dell'uomo; vi è come un filo conduttore tra tutti i diversi momenti del vostro programma di lavoro: Cristo Risorto, sorgente inesauribile di vita per l'uomo. Cristo, risorsa dell'uomo: così avete voluto annunciare la celebrazione del Sacrificio Eucaristico.
Dell'uomo, Egli non ha disdegnato di assumere la natura, e non in modo astratto, poiché «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, alla morte di Croce» (Fil 2, 7.8). L'umanità di Cristo, attraverso il mistero della Croce e della Risurrezione, è diventata il luogo in cui l'uomo, vinto ma non annichilito dal peccato, ha ritrovato la propria umanità.
Forte di questa esperienza, unica ed irrepetibile, del suo fondatore, la Chiesa ha potuto definirsi per bocca di Paolo VI «esperta in umanità». È a questo titolo, fondato sull'autorità del Maestro e consolidato da duemila anni di vita, che la Chiesa si presenta oggi sulla scena della storia, desiderosa di riproporre all'uomo il nucleo centrale del proprio messaggio: Cristo primizia e radice dell'uomo nuovo.
Del resto, proprio qui a Rimini, avete avuto la testimonianza viva di persone che si sono date pienamente a Cristo, nell'esercizio della loro professione, e il cui esempio continua a irradiarsi sempre più: l' ingegner Alberto Marvelli, del quale è avviata la Causa di beatificazione, e il dottor Igino Righetti, collaboratore del futuro Paolo VI di v.m., e con lui fondatore e primo presidente dei laureati cattolici. Due laici, due apostoli, due uomini che sapevano come si attinge dalla «risorsa Cristo». Essi hanno attinto per se stessi - nel lavorio interiore, nella preghiera, nella vita sacramentale - e hanno lasciato per gli altri un modello e una chiamata.
7. Parlare di Cristo come risorsa dell'uomo è testimoniare che ancora oggi i termini essenziali della civiltà sono di fatto, in modo consapevole e inconsapevole, riferiti all'evento di Cristo, divenuto annuncio quotidiano, confessato dalla Chiesa.
L'uomo di oggi è fortemente impegnato a riformulare il rapporto con il mondo che lo circonda; con la scienza e con la tecnica. Vuole scoprire risorse sempre nuove per la sua vita per la convivenza tra i popoli; tende a realizzare un processo che tutti vorrebbero pacifico e ad esaltare l'arte come espressione della propria libera creatività. Nonostante questo, la pace oggi è gravemente minacciata, la scienza e la tecnica rischiano di generare uno squilibrio carico di conseguenze negative nel rapporto tra uomo e uomo, tra l'uomo e la natura, tra nazioni e nazioni. Da questa contraddizione, che sembra inarrestabile perché strutturalmente connessa al mistero del male, è necessario che lo sguardo si volga «all'artefice della nostra salvezza» per generare una civiltà che nasca dalla verità e dall'amore. La civiltà dell'amore! Per non agonizzare, per non spegnersi nell'egoismo sfrenato, nell' insensibilità cieca al dolore degli altri. Fratelli e sorelle, costruite senza stancarvi mai questa civiltà!
È la consegna che oggi vi lascio. lavorate per questo, pregate per questo, soffrite per questo!
E con tale auspicio, tutti vi benedico, nel nome del Signore.
domande e risposte
Il Santo Padre si è poi intrattenuto con i giovani rispondendo ad alcune domande rivoltegli. La prima domanda è stata:
- «Fin dall'inizio del pontificato lei ha definito i giovani speranza della Chiesa. Cosa vuol dire questo per la nostra vita?».
Il Papa ha così risposto:
La vita dei giovani vuol dire scoprire le risorse dell'uomo: questo è proprio della giovinezza e si fa specialmente negli anni giovanili della vita. La speranza del futuro è legata a questa scoperta. Se i giovani della nostra epoca hanno scoperto bene le risorse dell'uomo - perché le si può scoprire anche nel male -, se le hanno scoperte nella verità, se le hanno scoperte nell'amore, allora possiamo essere pieni di fiducia, pieni di speranza nell'avvenire.
La seconda domanda:
«Vivendo quotidianamente i nostri problemi, nella famiglia, nel lavoro, nella scuola, constatiamo dei problemi drammatici. Ma anche i problemi economici, sociali degli uomini del nostro tempo implicano una profonda insicurezza esistenziale. Che cosa significa questo per i cristiani?».
Questa la risposta del Papa:
È una constatazione certamente profonda e giustissima: la constatazione della drammaticità della esistenza umana. E noi dobbiamo e possiamo riflettere su questo fenomeno, un fenomeno multilaterale. Sono diverse le ragioni, potrei dire che è diversa l'essenza stessa del dramma umano. Ma riflettendo sui diversi modi di questa drammaticità della umana esistenza si arriva a una constatazione centrale: il dramma fondamentale dell'uomo è di non sentire il senso della sua esistenza, di non avere il senso della sua esistenza, di vivere senza senso. Qui tocchiamo di nuovo la tematica delle risorse. Non scoprire il senso della vita umana vuol dire non sapere quali sono le risorse dell'uomo. Tutte le risorse, le risorse aperte all'uomo dalla natura esterna, offerte all'uomo dalla natura umana, la sua personalità, e finalmente le risorse soprannaturali aperte all'uomo in Cristo. Ecco come possiamo aiutare gli altri. Noi molte volte ci troviamo senza possibilità, non troviamo il modo di come aiutare gli altri nei diversi drammi della vita umana. Ma penso che in questo dramma che mi sembra centrale, fondamentale, noi forse possiamo fare di più, possiamo cercare di dare agli altri il senso della vita, possiamo cercare di far scoprire agli altri le risorse dell'uomo, e così dare il senso della vita. Penso che questo costituisca anche il vostro apostolato: aiutare gli altri nella scoperta del senso dell'esistenza umana.
Ed ecco la terza domanda:
«Santità, fin dagli inizi del suo pontificato ha instancabilmente spronato popoli e nazioni alla pace. Quali sono oggi gli elementi fondamentali per questa costruzione?».
Così la risposta del Santo Padre:
Devo fare prima una osservazione metodologica. Mi hanno detto: «Tu devi venire a Rimini e noi ti ascolteremo. Invece la realtà è un po' diversa: tu devi venire a Rimini e noi ti ascolteremo, ma ti faremo anche un esame».
Della pace io ho parlato molte volte. Naturalmente le parole non sono le cose più importanti, ma sono importanti anche le parole. Ripeterei quello che forse era essenziale del mio discorso alla Organizzazione delle Nazioni Unite dove, seguendo la tradizione dell'insegnamento della Chiesa, specialmente degli ultimi Papi, di Papa Giovanni, di Papa Paolo, ho cercato di convincere la grande Assemblea: se noi vogliamo vincere la pace dobbiamo rispettare pienamente i diversi diritti dell'uomo. Essi presentano molti aspetti: sono nel senso stretto della parola i diritti della persona, ma poi questi diritti si ampliano e diventano i diritti della famiglia, diventano i diritti dei popoli. Secondo una giusta teoria, osservando tutti questi diritti si esclude la guerra, si crea la pace. Allora un programma c'è. Dall'altra parte sappiamo che, nonostante il programma esistente, ci sono ancora le guerre e ci sono le minacce.
La quarta ed ultima domanda era:
«Santo Padre, la preoccupazione nostra fondamentale è stata ed è quella di dare testimonianza del fatto cristiano. Una iniziativa come questa del Meeting perché e in che modo contribuisce a questa testimonianza?».
Il Papa ha così risposto:
Sono convinto che contribuisce a dare una testimonianza cristiana. Anzi, direi, contribuisce a mostrare una dimensione della Chiesa, appunto quella dimensione che noi abbiamo così meditato e lasciato per il futuro nell'insegnamento del Concilio Vaticano II. Si pensava alla Chiesa, prima, in un modo piuttosto statico, come qualcosa di definitivamente costituito: questo era e rimane vero. La Chiesa è un'istituzione divina. Il Vaticano II però ci ha mostrato la Chiesa come un popolo che cammina, il popolo di Dio. Ci ha mostrato la Chiesa soprattutto come una missione che viene dalla Santissima Trinità e entra a far parte di ogni battezzato, di ogni cristiano, anzi, in un certo senso, di ogni uomo di buona volontà. Questa grande missione del vero, del bene, della verità e della carità, è diventata il costitutivo della nostra visione della Chiesa. Io penso che voi, voi che siete un movimento, e che con questo Meeting date espressione al vostro movimento, alle finalità di questo movimento, cercate di esprimere con questo Meeting il carattere proprio, la missione propria della Chiesa. La missione propria della Chiesa è sempre una missione storica, benché trascendente, benché divina. È storica, storica del nostro tempo. Voi con il vostro Meeting cercate di mostrare il cammino della Chiesa, dei giovani nella Chiesa del nostro tempo. Voi cercate di esprimere che cosa vuol dire il mistero della salvezza, l'opera della salvezza. Voi intendete, con diversi metodi e specialmente con questo Meeting, incarnare quest'opera della salvezza, farla presente tra gli uomini. Ecco, brevemente, così, per non moltiplicare le parole.
Andate in tutto il mondo
Per il trentennale della nascita di Comunione e Liberazione.
Roma, 29 settembre 1984
«Carissimi fratelli e amici! Voglio prima di tutto ringraziare monsignor Giussani per le sue parole introduttive come anche tutti gli altri che hanno partecipato a questa introduzione.
l. Esprimo la mia viva gioia per l'incontro con voi, che siete venuti qui a Roma per festeggiare i trent'anni di vita del vostro movimento e per riflettere insieme con il Papa sulla vostra storia di persone che vivono nella Chiesa e sono chiamate a collaborare, in intensa comunione, per portarla all'uomo, per dilatarla nel mondo.
Guardando i vostri volti, così aperti, così felici per quest'occasione di festa, provo un intimo sentimento di gioia e il desiderio di manifestarvi il mio affetto per la vostra dedizione di fede e di aiutarvi ad essere sempre più adulti in Cristo, condividendo il suo amore redentivo per l'uomo.
La mostra fotografica, che ho avuto modo di ammirare, entrando in quest'aula, le parole (testimonianza, racconti, canti), che ho ascoltato poco fa mi hanno permesso di ripercorrere come dall'interno questo periodo della vostra vita, che è parte della vita della Chiesa italiana, e ormai non solo più italiana, del nostro tempo. Mi hanno dato la possibilità di vedere con chiarezza i criteri educativi propri del vostro modo di vivere nella Chiesa, che implicano un vivace ed intenso lavoro nei più svariati contesti sociali.
Di tutto questo sono grato al Signore, che ancora una volta mi ha fatto ammirare il suo mistero in voi, che portate e dovrete sempre portare con l'umile coscienza di essere duttile creta nelle sue mani creative.
Proseguite con impegno su questa strada perché, anche attraverso di voi, la Chiesa sia sempre più l'ambiente dell'esistenza redenta dell'uomo (cfr. Omelia a Lugano, 12.ó.1984; cfr. La traccia 1984 n. 6, da p. 655 a p. 659), ambiente affascinante dove ogni uomo trova la risposta alla domanda di significato per la sua vita: Cristo, centro del cosmo e della storia.
2. Gesù, il Cristo, colui in cui tutto è fatto e consiste, è quindi il principio interpretativo dell'uomo e della sua storia. Affermare umilmente, ma altrettanto tenacemente, Cristo principio e motivo ispiratore del vivere e dell'operare, della coscienza e dell'azione, significa aderire a lui, per rendere presente adeguatamente la sua vittoria sul mondo.
Operare perché il contenuto della fede diventi intelligenza e pedagogia della vita è il compito quotidiano del credente, che va realizzato in ogni situazione e ambiente in cui si è chiamati a vivere. E in questo sta la ricchezza della vostra partecipazione alla vita ecclesiale: un metodo di educazione alla fede perché incida nella vita dell'uomo e della storia; ai sacramenti, perché producano un incontro con il Signore e in lui coi fratelli; alla preghiera, perché sia invocazione e lode a Dio; all'autorità, perché sia custode e garante dell'autenticità del cammino ecclesiale.
L'esperienza cristiana così compresa e vissuta genera una presenza che pone in ogni circostanza umana la Chiesa come luogo dove l'evento di Cristo «scandalo per i Giudei... stoltezza per i pagani» (1 Cor 1, 23-24) vive come orizzonte pieno di verità per l'uomo.
3. Noi crediamo in Cristo, morto e risorto, in Cristo presente qui ed ora, che solo può cambiare e cambia, trasfigurandoli, l'uomo e il mondo.
La vostra presenza sempre più consistente e significativa nella vita della Chiesa in Italia e nelle varie nazioni, in cui la vostra esperienza inizia a diffondersi, è dovuta a questa certezza, che dovete approfondire e comunicare, perché è questa certezza che tocca l'uomo. È significativo a questo proposito, e occorre notarlo, come lo Spirito, per continuare con l'uomo d'oggi quel dialogo iniziato da Dio in Cristo e proseguito nel corso di tutta la storia cristiana, abbia suscitato nella Chiesa contemporanea molteplici movimenti ecclesiali. Essi sono un segno della libertà di forme, in cui si realizza l'unica Chiesa, e rappresentano una sicura novità, che ancora attende di essere adeguatamente compresa in tutta la sua positiva efficacia per il regno di Dio all'opera nell'oggi della storia.
Già il mio venerato predecessore, papa Paolo VI, rivolgendosi ai membri della comunità fiorentina di Comunione e Liberazione il 28 dicembre 1977, affermava: «Vii diciamo grazie anche delle attestazioni coraggiose, fedeli, ferme che avete dato in questo periodo un po' turbato per certe incomprensioni da cui siete circondati. Siate contenti, siate fedeli, siate forti e siate lieti e portate attorno a voi la testimonianza che la vita cristiana è bella, è forte, è serena, è capace davvero di trasformare la società in cui essa si inserisce».
4. Cristo è la presenza di Dio all'uomo, Cristo è la misericordia di Dio verso i peccatori. La Chiesa, corpo mistico di Cristo e nuovo popolo di Dio, porta al mondo questa tenera benevolenza del Signore, incontrando e sostenendo l'uomo in ogni situazione, in ogni ambiente, in ogni circostanza.
Così facendo la Chiesa contribuisce a generare quella cultura della verità e dell'amore, che è capace di riconciliare la persona con se stessa e con il proprio destino. In tal modo la Chiesa diviene segno di salvezza per l'uomo, di cui accoglie e valorizza ogni anelito di libertà. L'esperienza di questa misericordia ci rende capaci di accettare chi è diverso da noi, di creare nuovi rapporti, di vivere la Chiesa in tutta la ricchezza e profondità del suo mistero come illimitata passione di dialogo con l'uomo ovunque incontrato.
«Andate in tutto il mondo» (Mt 28, 19) è ciò che Cristo ha detto ai suoi discepoli. Ed io ripeto a voi: «Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace, che si incontrano in Cristo Redentore». Questo invito che Cristo ha fatto a tutti i suoi e che Pietro ha il dovere di rinnovare senza tregua, ha già intessuto la vostra storia. In questi trent'anni vi siete aperti alle situazioni più svariate, gettando i semi di una presenza del vostro movimento. So che avete messo radici già in diciotto nazioni del mondo: in Europa, in Africa, in America, e conosco anche l'insistenza con la quale in altri Paesi è sollecitata la vostra presenza. Fatevi carico di questo bisogno ecclesiale: questa è la consegna che oggi vi lascio.
5. So che ben comprendete l'imprescindibile importanza di una vera e piena comunione fra le varie componenti della comunità ecclesiale. Sono certo pertanto che non mancherete di impegnarvi con rinnovato ardore nella ricerca dei modi più adatti per svolgere la vostra attività in sintonia e collaborazione con i vescovi, con i parroci e con tutti gli altri movimenti ecclesiali.
Portate in tutto il mondo il segno semplice e trasparente dell'evento della Chiesa. L'autentica evangelizzazione comprende e risponde ai bisogni dell'uomo concreto perché fa incontrare Cristo nella comunità cristiana. L'uomo d'oggi ha un particolare bisogno di avere di fronte a sé, con chiarezza ed evidenza, Cristo, quale segno profondo del suo nascere, vivere e morire, del suo soffrire e gioire.
La Madonna, Madre di Dio e della Chiesa, vi guidi costantemente nel cammino della vita. Conoscendo la vostra devozione alla Vergine auspico che ella sia per tutti voi la «Stella del mattino», la quale illumini e corrobori il vostro generoso impegno di testimonianza cristiana nel mondo contemporaneo.
Ed ora di cuore vi do la mia benedizione apostolica».
Rinnovate continuamente la scoperta del carisma
Ai sacerdoti partecipanti a un corso di Esercizi spirituali promosso da Comunione e Liberazione
Castelgandolfo 12 settembre 1985
«Carissimi fratelli nel battesimo e nel sacerdozio.
1. Sono molto lieto di incontrarmi con voi al termine di questo vostro annuale appuntamento di preghiera e di meditazione, gli esercizi spirituali, che raccolgono, ormai da tempo, i sacerdoti partecipanti all'esperienza di Comunione e Liberazione o ad essa vicini.
Più volte, soprattutto durante i miei viaggi in Italia e nei vari Paesi del mondo, ho avuto modo di riconoscere la grande e promettente fioritura dei movimenti ecclesiali, e li ho additati come un motivo di speranza per tutta la Chiesa e per gli uomini.
La Chiesa, infatti, nata dalla Passione e Risurrezione di Cristo e dall'effusione dello Spirito, diffusa in tutto il mondo e in ogni tempo sul fondamento degli Apostoli e dei loro successori, è stata arricchita nei secoli dalla grazia di sempre nuovi doni. Essi, nelle diverse epoche, le hanno permesso di essere presente in modi nuovi e adeguati alla sete di verità, di bellezza e di giustizia che Cristo andava suscitando nel cuore degli uomini e di cui Lui stesso è l'unica, soddisfacente e compiuta risposta.
Come ha bisogno la Chiesa di rinnovarsi continuamente, di riformarsi riscoprire in modo sempre più autentico l'inesauribile fecondità del proprio Principio!
Molte volte sono stati gli stessi Papi e Vescovi i portatori di questa energia carismatica di riforma, altre volte lo Spirito ha voluto che fossero dei sacerdoti o dei laici iniziatori e fondatori di un'opera di rinascita ecclesiale, che ha permesso di vivere, attraverso il sorgere di comunità, di istituti, di associazioni, di movimenti, l' appartenenza all'unica Chiesa e il servizio all'unico Signore.
2. Ai movimenti ecclesiali, assieme ai laici, partecipano in genere anche dei sacerdoti, che, in comunione di obbedienza con le Chiese particolari, portano alla vita delle comunità il dono del loro ministero, soprattutto mediante la celebrazione dei Sacramenti e l'offerta di un maturo consiglio. t perciò a voi sacerdoti che ora voglio rivolgermi per aiutarvi a meglio comprendere e vivere la vostra appartenenza ecclesiale nel contesto dell'adesione al movimento di Comunione e Liberazione.
Quanto sopra ho notato per la vita della Chiesa, è vero anche per ogni fedele ed in particolare per ogni sacerdote. Il sorgere del corpo ecclesiale come istituzione, la sua forza persuasiva e la sua energia aggregativa, hanno la loro radice nel dinamismo della Grazia sacramentale. Essa trova però la sua forma espressiva, la sua modalità operativa, la sua concreta incidenza storica mediante i diversi carismi che caratterizzano un temperamento ed una storia personale.
Come la Grazia oggettiva dell'incontro con Cristo è giunta a noi veicolata da incontri con persone specifiche di cui ricordiamo con gratitudine il volto, le parole, le circostanze, allo stesso modo Cristo comunica con gli uomini mediante la realtà del nostro sacerdozio, assumendo tutti gli aspetti della nostra personalità e sensibilità.
In questo modo ogni sacerdote, vivendo in pieno la grazia del sacramento, diventa capace di dare un volto al suo popolo, e di essere così «la forma del suo gregge» (I Pt 5, 3).
3. Quando un movimento è riconosciuto dalla Chiesa, esso diventa uno strumento privilegiato per una personale e sempre nuova adesione al mistero di Cristo.
Non permettete mai che nella vostra partecipazione alberghi di tarlo dell'abitudine, della <<routine», della vecchiaia! Rinnovate continuamente la scoperta del carisma che vi ha affascinati ed esso vi condurrà più potentemente a rendervi servitori di quell'unica potestà che è Cristo Signore!
Più volte nei suoi documenti il Concilio Vaticano II, della cui conclusione celebreremo tra poco, con un Sinodo straordinario, il ventesimo anniversario, ha incoraggiato le aggregazioni sacerdotali come strada in cui si incrementa l'inesauribile volto personale dell'opera apostolica del sacerdote: «Vanno anche tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall'autorità ecclesiastica competente, fomentano - grazie ad un modo di vita convenientemente ordinato e approvato e all'aiuto fraterno - la santità dei sacerdoti nell' esercizio del loro ministero, e mirano in tal modo al servizio di tutto l'ordine dei presbiteri» (P.O., 8; vedi anche C.I.C. 298).
I carismi dello Spirito sempre creano delle affinità, destinate ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito oggettivo nella Chiesa. È legge universale il crearsi di tale comunione. Viverla è un aspetto dell'obbedienza al grande mistero dello Spirito.
Un autentico movimento esiste perciò come un'anima alimentatrice dentro l'Istituzione. Non è una struttura alternativa ad essa. È invece sorgente di una presenza che continuamente ne rigenera l'autenticità esistenziale e storica.
Il sacerdote deve perciò trovare in un movimento la luce ed il calore che lo rende capace di fedeltà al suo Vescovo, che lo rende pronto alle incombenze dell'Istituzione e attento alla disciplina ecclesiastica, così che più fertile sia la vibrazione della sua fede ed il gusto della sua fedeltà.
4. Al concludersi di questo incontro non posso tralasciare di invitarvi ad essere dispensatori di quei doni che sono impressi in voi dal carattere sacerdotale.
Siate innanzitutto gli uomini del perdono e della comunione, donati al mondo dal cuore aperto di Cristo ed operanti mediante i sacramenti dell'Eucaristia e della Penitenza.
Non risparmiate sforzi in questo compito ed anzi fate della celebrazione sacramentale una scuola per la vostra vita, consapevoli di quali siano le necessità più gravi dell' uomo di ogni tempo. Nella preghiera personale e comune, portate al cospetto di Dio le domande e i bisogni di coloro che vi sono affidati e chiedete l'assistenza del Signore sulla vita del vostro movimento.
Siate i maestri della cultura cristiana, di quella concezione nuova dell'esistenza che Cristo ha portato nel mondo e sostenete i tentativi dei vostri fratelli affinché tale cultura si esprima in forme sempre più incisive di responsabilità civile e sociale.
Partecipate con dedizione a quell'opera di superamento della frattura tra Vangelo e cultura, a cui ho invitato l'intera Chiesa italiana nel recente discorso tenuto durante il convegno ecclesiale di Loreto. Sentite tutta la grandezza e l'urgenza di una nuova evangelizzazione del vostro Paese! Siate i primi testimoni di quell'impeto missionario che ho dato come consegna al vostro movimento!
Vi sostenga l'energia di Cristo Signore che «è morto per tutti, affinché i viventi non vivano più per se stessi, ma per Colui che per essi è morto ed è risuscitato» (2 Cor 5, 15).
Vi accompagni la protezione di Maria Santissima: a Lei affidate i vostri propositi e le vostre speranze.
Con questi voti imparto a voi ed a coloro a cui si rivolge la vostra attività pastorale la mia Benedizione.»
Il Commento di Luigi Giussani
(appunti da una conversazione)
L'uomo è esigenza di totalità. Si può anche dire esigenza di perfezione, che nella etimologia latina significa compiutezza, o anche esigenza di felicità e soddisfazione totale. Perfezione, felicità o totalità. Chi, o che cosa, può assicurare all'uomo questo traguardo senza il quale non è se stesso?
L'uomo infatti non può salvarsi da sé. Solo nella compagnia del divino, del Mistero collocatosi di fianco a lui, come parte della sua umanità, l' uomo può trovare risposta all'esigenza suprema della sua vita: quella della salvezza.
Per questo il destino stesso dell'uomo è diventato suo compagno di cammino, è diventato un uomo: Cristo.
È una risposta inconcepibile e imprevedibile per le umane misure; quanto più l'uomo è consapevole del suo limite (fragilità, incapacità, errore), tanto più può essere disponibile a tale risposta. L'ostacolo più grave al riconoscimento di Cristo è la non coscienza del proprio bisogno umano della domanda che la nostra umanità è, «Niente è tanto incredibile quanto la risposta ad una domanda che non si pone» (Reinhold Niebhur).
Riconoscimento di Cristo morto e risorto, presente qui ed ora..."
Senza Cristo l'uomo è schiavo dell'uno o dell'altro aspetto delle sue reazioni. Al contrario, nel rapporto con il suo destino, l' uomo può anticipare l'intensità di affezione e di intelligenza propria dell'eternità, può partecipare di una amicizia cosmica con gli altri e con le cose. L'uomo è fatto per una positività ultima e Cristo è la strada per raggiungerla.
La fede cattolica sta tutta nel riconoscimento di Cristo. Lo ha ricordato Giovanni Paolo II nel suo discorso per il trentennale della nascita di Comunione e Liberazione (Roma, 29 settembre 1984): «Noi crediamo in Cristo morto e risorto, in Cristo presente qui ed ora, che solo può cambiare e cambia, trasfigurandoli, l' uomo e il mondo».
La nostra fede consiste nel riconoscere che il Mistero è diventato uomo storico, è nato da donna, è morto e, con la potenza del suo Spirito, è risorto, ha vinto la morte che è l'estrema espressione del limite spazio-temporale della creatura umana.
Cristo, per la cui vittoria la morte non si presenta più come l'ultima parola sull'esistenza umana, è «presente qui ed ora» tanto che cambia la persona.
"...che solo può cambiare l'uomo e il mondo"
Il cambiamento è ciò a cui l'uomo tende fin dall'origine della percezione di sé. Proprio per questo agli inizi della storia del nostro movimento meditavo spesso quel frammento dei primi filosofi eleatici: «Mandaci, padre Zeus, il miracolo di un cambiamento». I1 cambiamento è infatti un miracolo, la verifica della presenza del divino.
Cristo, però, cambia l'uomo e il mondo, non sostituendoli con un altro uomo e un altro mondo, ma trasfigurandoli. Egli non elimina nulla, ma rende più presente la verità del rapporto dell'uomo con sé, gli altri e le cose, col tempo e lo spazio, anticipando in qualche modo nel presente quella verità che sarà a tutti evidente nell'ultimo giorno.
La trasfigurazione dell'uomo consiste dunque in un cambiamento in quello che egli è: nel suo temperamento, nelle circostanze della sua vita, nel complesso dei suoi rapporti, così che egli percepisca di essere se stesso, e pure di essere diventato diverso. Non si tratta della sostituzione,
in una macchina, di un pezzo con un altro migliore: è la stessa umanità che diventa diversa; è l'amore all'uomo, il modo di guardare la natura, il modo di sentire e affrontare il dolore che diventano diversi.
Tutto diventa diverso, diverso, ma più umano cioè pieno di senso, di intelligenza, di affezione, di gratuità, cioè di libertà. E un uomo così cambiato, «trasfigurato», è il soggetto del cambiamento del mondo.
Nella realtà della Chiesa
La nostra vita personale è chiamata a sperimentare questo cambiamento che dimostra la verità di Cristo.
Sorge a questo punto la domanda cruciale: dove questo cambiamento può avvenire? Dove il rapporto con Cristo si può stabilire in modo tale che la sua energia trasformatrice possa realizzarsi?
«Il sorgere del corpo ecclesiale - ha detto Giovanni Paolo II ai sacerdoti di Cl il 12 settembre 1985 - come istituzione, la sua forza persuasiva e la sua energia aggregativa hanno la loro radice nel dinamismo della grazia sacramentale». Il Papa in questa frase dice una cosa che sembra ovvia ma che non finisce mai di stupire: Cristo morto e risorto è presente qui ed ora, nella realtà della Chiesa. Cristo, con l'energia del suo Spirito, penetra il mondo afferrando e portando nel mistero della propria persona coloro che aderiscono all'iniziativa che il Padre compie in lui, vale a dire i battezzati, così che ogni battezzato è parte della sua personalità in un senso misterioso ma reale. È il mistero del corpo ecclesiale: più di quanto io sia io, sono uno con Lui e dunque noi siamo membra gli uni degli altri. Nella unità della Chiesa, Cristo è presente qui ed ora.
Questa realtà della Chiesa come insorge continuamente, come si genera? Il Papa ha ricordato: attraverso l'energia potente dello Spirito di Cristo, attraverso quei gesti che prolungano nel tempo e nello spazio i gesti stessi di Cristo: i sacramenti. In particolare il grande sacramento per cui io non sono più io, ma parte di Cristo, i1 Battesimo.
Nella lettera agli Efesini, Paolo parla della Chiesa come "Suo Corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose" (Ef. 1,23).
Sempre nella stessa lettera è descritta la nostra realtà nuova, in questa unità grande che è il Corpo di Cristo (Ef. 2,19-22). E alla fine del capitolo terzo (Ef. 3,21) Paolo arriva addirittura ad identificare Cristo e la Chiesa: "A lui (a Dio) la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni".
Come non ricordare infine il quarto capitolo della lettera agli Efesini? In esso san Paolo descrive plasticamente il crescere della realtà della Chiesa nel mondo, come costruzione in cui l'uomo ha il suo luogo e il suo compito, e l'energia adeguata per perseguirlo.
La grazia sacramentate
Un ultimo accenno sul termine «grazia sacramentale». La grazia è un dono, l' unico necessario: il raggiungimento della totalità che l'uomo non riesce a darsi da sé, perché non ne è capace. È grazia che il Mistero sia diventato commensale alla nostra vita. Grazia che si chiama sacramentate perché è una presenza nascosta dentro la realtà di un segno.
Questo segno vale più dell'universo intero, perché contiene il significato per cui ammiriamo le stelle o abbracciamo il padre. La grazia sacramentale non cessa di donare figli alla Chiesa nel Battesimo, di purificarli nella Penitenza, di approfondire il mistero di comunione che li lega a Cristo nell'Eucarestia.
La nostra amicizia deve aiutarci a strappar via la superficialità e la formalità con cui pensiamo e usiamo di questi segni.
I carismi
Per approfondire la riflessione sul dove il Mistero di Cristo si fa presente, proseguiamo la lettura del discorso del Papa ai sacerdoti di Cl: «La grazia sacramentale trova la sua forma espressiva, la sua concreta incidenza storica mediante i diversi carismi che caratterizzano un temperamento ed una storia personale». Cristo raggiunge la persona in modo convincente, operativo e incidente sulla storia attraverso l'incontro della sua grazia con un temperamento personale che propone la sua stessa realtà in modo persuasivo e interessante. Quante volte ascoltando l'omelia del sacerdote durante la messa si resta annoiati. Ma c'è stata qualche volta in cui uno andando a Messa oppure a confessarsi, o incontrando un sacerdote che parlava in un certo modo, in quel momento, ecco, ha percepito, sia pure confusamente, cose che non aveva mai pensato. Si è mosso dentro di lui qualcosa che ha portato, col tempo, una luce, cioè un modo di vedere che non aveva avuto prima. È l'incontro con il carisma. Senza la sua concretezza fisica Cristo resterebbe astratto, abbandonato alla nostra immaginazione e allo stato d'animo, o identificato con l'oscurità dei nostri nichilismi, o scambiato con le facili euforie suscitate dal far coincidere l'ideale con ciò che ci pare e piace. Invece Cristo ci raggiunge come ha raggiunto Zaccheo che stava sul sicomoro, curioso di vederlo passare. Egli si fermò e lo chiamò. Proviamo a immaginarci cosa è successo a Zaccheo. Attraverso quello sguardo e quella chiamata, ciò che prima era generico è diventato shock personale, parola persuasiva, pedagogica, capace di cambiare; un cambiamento che attraverso l'uomo raggiunge l'ambiente: «Darò la metà dei miei beni ai poveri» (cfr. Lc 19, 1-10).
La forza di Cristo presente nel mondo dentro la Chiesa raggiunge la persona attraverso un carisma, un particolare dono (Grazia) con cui lo Spirito investe l'energia espressiva, operativa, incidente di un temperamento, una persona una storia. A che servirebbe tutto quanto è nella Chiesa come realtà stabile, istituzionale, se non ti raggiungesse con una energia illuminante, commovente, incidente sulla vita tua e degli altri?
Affinità e comunione
«I carismi dello Spirito - prosegue il Papa, segnando un passaggio decisivo - sempre creano delle affinità». Quando uno si incontra con una certa persona, con un certo gruppo, con una certa esperienza in cui, magari confusamente, ma in modo innegabile, ha percepito come la fede può essere interessante la sua vita, allora nascono delle affinità: si sente sollecitato da quell'incontro, si sente attratto e si unisce a quel gruppo o a quella persona. Tali affinità sono destinate <<ad essere per ciascuno il sostegno per il suo compito oggettivo nella Chiesa». Ciò significa che proprio il rapporto con quella compagnia, è destinato a sostenere la persona nella vita come cammino verso il suo senso.
«È legge universale il crearsi di tale comunione» afferma ancora il Papa.
Si chiama comunione il rapporto con persone, proprio in quanto sorto dal riconoscimento di Cristo e vissuto come tensione ad immedesimarsi in Lui. Vivere questa comunione è «un aspetto dell'obbedienza al Mistero dello Spirito».
Quello che stiamo descrivendo è questo: Egli si fa conoscere e aiuta l'uomo incarnandosi. Duemila anni fa era l'incontro con un uomo che si chiamava Gesù. Ciò che avviene ora è analogo perché quello dell'incarnazione è il metodo che dura per tutta la storia. Attraverso della gente che ti raggiunge persuasivamente, pedagogicamente, per cui la tua fede sviluppa una capacità di incidenza sulla storia, Cristo è per te presente qui ed ora. «Come la grazia oggettiva dell'incontro con Cristo - dice infatti Giovanni Paolo II è giunta a noi portata da incontri con persone specifiche di cui ricordiamo con gratitudine il volto, le parole, le circostanze, allo stesso modo Cristo comunica con gli uomini assumendo tutti gli aspetti della nostra personalità e sensibilità» (ai sacerdoti, cit.). È attraverso te così come sei, con la tua personalità, la tua storia, la tua sensibilità, che Cristo si comunica ad altri, che l'energia dello Spirito suscita un carisma particolare, cioè una comunicazione persuasiva, pedagogica, incidente.
L'idea di movimento
L'idea di movimento, la novità ecclesiologica in essa contenuta, è questa. La modalità con cui Cristo attualizza la sua comunicazione è una vita, non è innanzitutto parola o dottrina o riti, non una struttura istituzionale che può essere arida come le pietre di cui sono fatte le chiese; e una nuova umanità.
Ricordo il racconto che mia madre mi faceva, quando ero piccolo, di quello che chiamava «il povero don Amedeo». Era il coadiutore del parroco di Desio che, soprattutto attraverso l'azione svolta in confessionale, aveva guidato tante giovani donne della parrocchia ad una maturità spirituale. Per un certo periodo ci fu così in paese un rilevante gruppo di donne, un centinaio, che non solo formarono famiglie esemplari, ma si resero sempre disponibili ai bisogni della comunità.
Don Amedeo aveva generato un "movimento"; se invece che cento quelle donne fossero state centomila, ne avrebbero parlato i giornali. La questione decisiva non è infatti il numero delle persone. Possono essere cinque, come fu all' inizio del nostro movimento, oppure cinquantamila, non importa. L'importante è il metodo con cui il Mistero ha deciso di permanere nella storia: il metodo dell'incarnazione, di cui l'esperienza di un movimento è come l'espressione terminale.
Lo ha chiaramente espresso Giovanni Paolo II nel suo discorso per il trentennale di Cl: «Lo Spirito, per continuare con l'uomo di oggi quel dialogo iniziato da Dio in Cristo e proseguito nel corso di tutta la storia cristiana, ha suscitato nella Chiesa contemporanea molteplici movimenti ecclesiali. Essi sono un segno della libertà di forme, in cui si realizza l'unica Chiesa, e rappresentano una sicura novità, che ancora attende di essere adeguatamente compresa m tutta la sua positiva efficacia per il Regno di Dio all'opera nell'oggi della storia».
Movimento è dunque una sicura modalità in cui il rapporto tra Dio e l'uomo, che si chiama Cristo, si attua nel presente. È cioè la modalità con cui i1 fatto di Cristo e il suo mistero nella storia - la Chiesa - hanno incontrato la tua vita in modo evocatore, persuasivo, facilitante, educativo, rivelandosi come esistenzialmente vero, cioè come significato della vita e come forma possibile di essa. Se uno è nel movimento è perché, almeno come accento o presentimento, ciò in cui si è imbattuto è calato nella sua vita come promessa di consapevolezza e di attuabilità della fede. È una questione essenzialmente personale.
Appartenenza
La dinamica interna della vita di un movimento, l' azione che definisce l'adesione del singolo ad essa sono descritte da Giovanni Paolo II nel suo discorso per il trentennale: aderire a Cristo «come principio e motivo ispiratore del vivere e dell'operare, della coscienza e dell'azione».
È l'appartenenza a Cristo come contenuto della nuova autocoscienza. Noi apparteniamo a Dio, siamo suoi nel senso più radicale e ontologico del termine; siamo sue creature. Ma la nostra dipendenza creaturale resterebbe una percezione enigmatica e passeggera se non ci fosse stata rivelata chiaramente da Cristo; «Dio - infatti - nessuno l'ha mai visto: il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, egli lo ha rivelato» (Gv 1,18). Nell'appartenenza al Dio reso uomo, la nostra dipendenza totale, il nostro «essere fatti», diventa chiaro.
L'assenza della percezione di questa appartenenza produce una sorta di "malattia spirituale" grave e soprattutto abbandona la persona in balìa del potere; tragica conclusione per i secoli che hanno proclamato l'indipendenza dell' uomo da Dio!
La coscienza di appartenere a Cristo, e quindi alla sua Chiesa dentro i rapporti da Lui donati, genera una nuova morale, un'etica autentica. Senza appartenenza esiste solo il moralismo: una misura che conduce alla tomba del cinismo.
La moralità autentica è lo svolgimento vivace ed ordinato dell'impeto vitale di cui il Creatore ci ha fornito e dipende completamente dalla coscienza di appartenenza che abbiamo. Da questa nasce un comportamento nuovo, la percezione non artificiosa della direttiva, la gioia del compimento di sé nella traiettoria etica. Da tale appartenenza nasce, da ultimo, il senso vero del dolore; non esiste senso del dolore per il proprio peccato senza senso dell'amore e l'amore non è un sentimento di esuberanza, ma la percezione riconosciuta di ciò a cui si appartiene. Senza senso dell' appartenenza la coscienza del proprio male genera solo umiliazione per essersi messi in cattiva luce di fronte a sé e agli altri.
Il valore della persona è dunque nell'appartenenza al popolo di Dio, al corpo di Cristo; in esso avviene l'inesauribile miracolo della ripresa dal proprio male perché l'espressione esauriente di sé diventa la misericordia di Dio, quel legame che nessun nostro comportamento può togliere (cfr. il commento di Giovanni Paolo II alla parabola del figlio prodigo nell'enciclica Dives in Misericordia, n. ó).
Intelligenza e affezione nuove
Sempre dall'appartenenza sgorga la domanda del cambiamento: «Compi, o Signore, il miracolo che io non so fare». La coerenza infatti è un miracolo, è una grazia e non il puro esito di uno sforzo di volontà. Dall' ethos dell'appartenenza, che è l'ethos dell'uomo nuovo, nasce una trasformazione della persona secondo i suoi due fattori costitutivi: intelligenza e affezione.
Il cambiamento dell'intelligenza è un mutarsi del modo di percepire (come sensibilità) e concepire (come criteri e parametri di giudizio) l' esistenza; è una «metanoia» (conversione) per cui Cristo viene riconosciuto come principio interpretativo di tutto.
Il cambiamento dell'intelligenza rende familiare la «totalità». Ogni uomo, lo abbiamo ricordato all'inizio, è esigenza di totalità; anzi, la natura stessa della ragione è aperta alla totalità; essa infatti è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori (cfr. Il senso religioso, seconda premessa). Il peso della materialità aggrava questa apertura alla totalità anche nei più grandi pensatori; per chi accetta il cambiamento provocato da Cristo la totalità diventa invece familiare.
Il cambiamento dell'affettività si documenta nell'insorgere della capacità della gratuità. Gratuito è un rapporto definito nella prospettiva dell'eterno, cioè di Cristo. Chi non ama sua moglie o suo marito, i figli o gli amici in funzione dell'eterno, cioè della costruzione della presenza di Cristo che è la Chiesa, non ha ancora fatto esperienza di un amore vero.
Testimonianza
La personale determinazione a vivere l'appartenenza come contenuto della nuova autocoscienza ha un decisivo riverbero missionario.
La testimonianza infatti è un comportamento che, se Cristo non ci fosse, sarebbe assurdo. Un uomo, vedendoti, dovrebbe chiedersi: cosa c'è dietro? chi è questo Cristo in nome del quale l'uomo ha una percezione più completa della realtà, ama di più la sua donna e i suoi figli, sperimenta la gratuità? Cosa è questa presenza per cui l'uomo è più uomo?
Il miracolo del cambiamento di chi crede in Cristo è la più grande testimonianza della verità della sua presenza. Una comunità di persone che vivono in questo modo costituisce l'albore del mondo nuovo, l' inizio dell'umanità vera. Per questo una comunità deve generare opere il cui valore ultimo è la testimonianza. Ce lo ha richiamato il Papa nel suo discorso al Meeting quando ha definito come scopo della Chiesa quello di «costruire la civiltà della verità e dell'amore». Ma lo scopo della Chiesa non è quello di dare gloria a Cristo? È esattamente la stessa cosa: la gloria di Cristo è la salvezza dell'uomo. Tale testimonianza si ottiene mediante la fede che genera un brandello di umano cambiato che urge, come abbiamo già detto, a domandarsi quale ne sia il movente e la ragione ultima. Questo deve essere anche il valore delle opere.
"La Chiesa stessa è un movimento"
Abbiamo fin qui descritto quale è la natura e la dinamica interna di un movimento. Comunione e Liberazione è una delle tante affinità e comunionalità attraverso le quali lo Spirito incontra l'uomo d'oggi. Per chi lo incontra e vi aderisce esso rappresenta lo strumento, effimero ma indispensabile, per il proprio cammino verso il destino, verso Cristo.
Vorrei però ricordare che quello che sto dicendo riguarda l'essenza stessa del comunicarsi del Fatto cristiano, una modalità permanente nella storia della Chiesa perché la fede diventi persuasiva, efficace e costruttiva.
«La Chiesa stessa è un movimento» aveva detto Giovanni Paolo II nel suo indirizzo di saluto ai partecipanti al Convegno «I movimenti nella Chiesa negli anni 80» (27 ottobre 1981). Ciò risulta anche dalle lettere di San Paolo dove si accenna, per esempio, all'incontro con la fede avvenuto nel contesto della casa di Aquila e Prisca o in quella di Livia; incontro che da quel contesto umano aveva ricevuto particolari illuminazioni e caratteristiche.
Quale è, allora, il rapporto corretto tra un movimento e l'istituzione ecclesiale, e tra un movimento ed un altro? Nel citato discorso ai sacerdoti il Papa annota che «un autentico movimento esiste come un'anima alimentatrice dentro l'istituzione. Non è una struttura alternativa ad essa». L'istituzione da sola, infatti, non può creare, come tale, quell'adesione personale che implica un temperamento, una storia, una affinità e una determinata capacità di comunicazione; l' istituzione deve essere animata attraverso questo.
È un'esigenza irrinunciabile dell'incarnazione questo continuo scambio tra istituzione e carisma. In nessun modo questo rapporto può essere pensato in termini di alternativa dialettica, quasi che l'istituzione non sia affermata dal carisma e che il carisma non abbia bisogno dell'istituzione. Essi sono alla fine l'unica realtà della Chiesa. Si potrebbe forse pensare l'organismo umano senza lo scheletro che lo sostiene o il cuore che ne è la fonte? Così non è pensabile che la Chiesa viva senza istituzione.
I movimenti sono allora richiamati a due dimensioni fondamentali che ne certificano, in un certo senso, l'autenticità. La prima di esse è il riferimento filiale ai Vescovi e a1 Papa. La gerarchia non ha il monopolio dei carismi, ma possiede il carisma del discernimento e dell'ordinazione di tutti i carismi al bene comune della Chiesa. In secondo luogo l'autentico carisma deve sollecitare un'apertura fraterna verso tutte le altre esperienze, che in diverso modo conducono all'unica verità su Dio e sull'uomo rivelata in Cristo.
Movimenti e istituzione
Giovanni Paolo II ha chiaramente espresso questa dinamica nel suo discorso ai vescovi lombardi in visita «ad limina apostolorum» il 18 dicembre 1986: «Non si deve, inoltre misconoscere il diritto di esistenza e di azione nella Chiesa che compete ad associazioni, gruppi, movimenti, vera ricchezza suscitata dallo Spirito, il quale soffia dove e come vuole. Questi, nella fedeltà al proprio carisma e nella semplicità del vero spirito evangelico, possono dare alla parrocchia un utile contributo di vitalità in quella unità di spirito che è frutto della carità, secondo le linee pastorali dettate dal Vescovo, che è nella sua Chiesa il fondamento e principio visibile di unità. Consegue da ciò l'esigenza di promuovere, sostenere, incrementare le varie aggregazioni, in primo luogo quelle che partecipano direttamente alla missione ecclesiale, e le varie associazioni o movimenti di apostolato, la cui fioritura arricchisce il tessuto pastorale. "Tutte le associazioni di apostolato - dichiara il Concilio - devono essere giustamente stimate; quelle poi, che la gerarchia secondo le necessità dei tempi e dei luoghi ha lodato o raccomandato o ha deciso di istituire come più urgenti, devono essere prese in somma considerazione dai sacerdoti, dai religiosi e dai laici e promosse seconda la maniera a ciascuno. propria" (Apostolicam Actuositatem, n. 21). In questo settore, che presenta risvolti delicati, le chiare direttive dei Vescovi devono aiutare a discernere e a valorizzare la specificità di ogni singola aggregazione, e ad armonizzare l'attività di tutte con le finalità comuni agli operai del Vangelo. Come bisogna non estinguere lo Spirito, così è necessario favorire l'unione dei cuori e delle energie. In particolare, sembra oggi urgente orientare e stimolare il dialogo reciproco: un dialogo sereno e costruttivo, solidamente radicato in quella carità che, come avverte san Paolo, è il più alto e, in un certo senso, l' unico carisma».
Un movimento è una modalità totalizzante di vivere la fede e proprio per questo, quanto più è vissuto, tanto più è spalancato a qualsiasi altro movimento. Così altri che vivono la loro appartenenza con verità non possono non apprezzare, valorizzare, nel rispetto, la nostra esperienza.
Una nota conclusiva. I movimenti, «canale privilegiato per la formazione e promozione di un laicato attivo e consapevole del proprio ruolo nella Chiesa e nel mondo» (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al convegno della Chiesa italiana su «Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini», Loreto 11 aprile 1985) hanno trovato la loro massima valorizzazione e comprensione dal magistero pontificio.
In una conferenza pubblica tenuta a Bari il 28 gennaio 1985 il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha affermato: «Oggi conosciamo di nuovo il fenomeno di movimenti apostolici sovraterritoriali provenienti "dal basso", in cui fanno la loro comparsa nuovi carismi e rianimano la pastorale territoriale. Anche oggi troviamo un certo tipo di movimenti, che non possono essere ricondotti al principio episcopale, ma che si appoggiano piuttosto sia a livello teologico che pratico al Primato, il quale rimane così ancora nuovamente fattore di un vitale e fruttuoso pluralismo nella Chiesa, proprio per il fatto che esso consente di collocare la loro unità in una realtà concreta».
Nel corso della stessa conferenza il cardinale ha ricordato che nella partecipazione all'apostolato della Chiesa universale i movimenti rendono «feconda e integra la pastorale della Chiesa locale»
E una notazione importante perché ricorda la sostanziale universalità cattolica che definisce la Chiesa. Essa infatti non può essere ridotta alla «congregazione» delle Chiese locali, ma è un Corpo nel quale Pietro è garante di unità per tutti.
Una Chiesa locale non può stare di fronte ad una cultura dominante: può solo subirla. Una cultura può diventare dominante solo per valori che si pongano con forza o con pretesa di universalità. Una Chiesa locale, proprio in quanto delimitata, non può che essere presa nel gioco; i suoi valori universali sono quelli che essa attinge dalla catholica.
Da un vicario episcopale ho sentito esprimere questa posizione: «Non riconosciamo i movimenti finché il vescovo non abbia nominato l'assistente ecclesiastico; solo allora essi potranno essere riconosciuti come realtà diocesana».
Il nuovo codice di diritto canonico garantisce il diritto dei fedeli ad associarsi liberamente. Nella «Mater et magistra» del resto tra i diritti fondamentali dell'uomo che la società deve assicurare il diritto all'associazione è chiaramente previsto: può la Chiesa ignorare un diritto fondamentale della persona umana? Illumina la questione un'osservazione del card. Ratzinger: «Caratteristica dei movimenti egli ha detto predicando gli Esercizi spirituali ai sacerdoti di Comunione e Liberazione (Collevalenza settembre 1986) - non è di aggiungere una nuova specialità ma di essere la concretezza della fede che si realizza nel particolare vivendo il cuore della fede. Quando un movimento si inserisce nel centro della fede è un imperativo per la gerarchia riconoscerlo». E non sarebbero riconosciuti come ecclesiali i movimenti se non fossero riconosciuti al tempo stesso come volontà di partecipazione all' organismo della Chiesa universale.
In questo orizzonte il diritto canonico rappresenta la difesa della libertà del fedele dalle possibili degenerazioni dell'autorità ecclesiastica.
Il fatto poi che il vescovo nomini un assistente costituisce una ulteriore positiva conferma del diritto all'esistenza che un'associazione di fedeli ha; conferma che conferisce una sicurezza maggiore ed una maggiore capacità di edificazione e che è dunque da ricercare con umiltà.
Per quanto riguarda i sacerdoti di solito si ragiona così: «Ho già l'abito ho già una regola ecclesiale ho un carisma che bisogno c'è di un movimento? Movimento e ordine sacerdotale si contraddicono si elidono a vicenda».
Effettivamente da molte parti si sostiene che per mantenere l'unità della Chiesa i singoli movimenti debbano dimenticare o quantomeno sorvolare sulle loro caratteristiche per assumere una forma comune; invece il mio parere è che solamente andando fino in fondo al proprio carisma uno trova la Chiesa universale.
Perciò per esempio un frate che intende vivere veramente lo scopo della sua vocazione se si imbatte in un movimento che ha un'autenticità di fede sarà aiutato da esso nella sua vocazione; e nella varietà dei movimenti potrà sentirsi aiutato più dall'uno o dall'altro. Ma l'esito è un'unità non una divisione; una conferma non un'alienazione.
Io sono del movimento di Comunione e Liberazione da quando padre Antonio Sicari mi ha spiegato il concetto di devozione alla Madonna proprio dell'Ordine carmelitano, io ho trovato in questo un grande aiuto alla mia vita personale.
Ci sono però differenze tra il «movimento» .sorto intorno al ricordato don Amedeo e il movimento di Comunione e Liberazione che tende a permanere nella storia. Come un carisma che permane nella storia e tende in qualche modo a istituzionalizzarsi può mantenere il dinamismo originale? Come la Chiesa può incontrare un movimento diventato istituzionale?
È l'identica dinamica soltanto che il carisma è nella libertà dello Spirito. È lo Spirito che dona un carisma o un altro carisma; a don Amedeo ha dato un carisma per così dire «breve»; a Comunione e Liberazione ha dato un carisma forse più consistente più duraturo e stabile. Ma la permanenza nella storia non è dell'essenza della questione; quando mia madre mi diceva quelle frasi don Amedeo non c'era più permaneva attraverso la fedeltà della memoria.
Invece ci può essere un carisma a cui lo Spirito dà energia e come prospettiva la possibilità di affrontare più stabilmente la vita dell'individuo nella struttura sociale. In questo caso occorreranno certamente dei fattori che corrispondano a tale missione a tale prospettiva.
Non è necessario che un «movimento» assuma una struttura compaginata ciò che è invece necessario per un fattore che debba Sfidare tempo e spazio con una certa durata. Ma anche questo dipende dallo Spirito.
Il mio ultimo pensiero tanti anni fa era di trovarmi qui a parlare con voi di queste cose. Se a un certo punto non avessi potuto continuare avrei detto: «Sono contento. Tanti ragazzi a scuola hanno capito di più la fede attraverso la mia ora di religione». Nessuno può volere fare un'istituzione un movimento diventa istituzione nella Chiesa quando la Chiesa l'afferma come istituzione.
La Chiesa può incontrare un movimento istituzionale solo se t'ha fatto essa stessa istituzione.
Come si può accogliere nella vita di una parrocchia un movimento salvaguardando contemporaneamente le sue esigenze di partecipazione con modalità specifiche e te esigenze detta partecipazione alta vita parrocchiale dei fedeli non aderenti ad esso?
Sarebbe contro la carità che l'istituzione non accettasse questo o quel gruppo; e il gruppo partecipando alla vita della Chiesa vive la liturgia con tutti gli atri liberamente collabora ad opere comuni. Se avendo sviluppato una certa esigenza di vita spirituale ha dei bisogni particolari può inoltrarli legittimamente.
Il Papa ha parlato di movimenti; ora il movimento chiede due definizioni possibili: se noi parliamo di «movimento» in quanto concetto generale ci riferiamo alla Chiesa universale e intendiamo dire «innovazione»; c'è un altro concetto di movimento: il movimento particolare. La domanda è questa: non può la Chiesa pensare che un movimento particolare non sta bene nella Chiesa? Perché il vescovo non può avere la facoltà di ricusare un movimento? Egli è un vescovo detta Chiesa....
Io ho usato la parola «movimento» come l'ha usata il Papa parlando delta Chiesa; la Chiesa in quanto realtà viva è movimento. La parola «movimento» applicata alla Chiesa come realtà viva si applica per analogia anche a quelle esperienze vive che rendono viva la Chiesa; perciò il movimento particolare è ciò che permette alla Chiesa di essere movimento.
Una parrocchia è «movimento» se ha dei gruppi che vivono; altrimenti sarebbe mezza morta (così come una scolaresca è viva perché ci sono in essa delle personalità vive); soltanto atta fine del mondo la Chiesa sarà tutta infinitamente «movimento»; durante il cammino terreno la Chiesa è animata come lievito dalle personalità e dai movimenti vivi. Ripeto: il movimento particolare è ciò che permette alta Chiesa di essere viva. Faccio un esempio. In una Chiesa gremita da duemila persone solo cento del gruppo Gen dei Focolari cantano: la Chiesa è piena di canto perché c'è un particolare gruppo che canta. La Chiesa è movimento attraverso i movimenti concreti i movimenti particotari che vivono.
Quanto alta seconda domanda: indubbiamente un vescovo può ricusare un movimento sano dal punto di vista dottrinate e morale. Con due conseguenze. La prima: i fedeli che si sentono ravvivati nella fede dalla loro compagnia la vivono ugualmente obbedendo al vescovo disciplinarmente con il dolore di non essere riconosciuti. La seconda: quel vescovo non è un padre. Ci potrebbe essere una ragione eccezionale per cui riconoscere un gruppo potrebbe suscitare gravi conseguenze negative ma non si può rifiutare un figlio perché rende più complessa la vita della casa; che almeno nella Chiesa ci sia libertà.
E giusto dire che l' approfondimento di oggi è per aiutarci a seguire e seguire il luogo di persone dove più evidentemente si vive con gusto la realtà di Gesù Cristo?
Io direi che il lavoro di oggi pone l'invito ad essere fedeli a quell'incontro per cui la fede ti e apparsa ti si è comunicata con una persuasività una pedagogicità che non avevi mai scoperto prima. Lo scopo è che ci sia una pianificazione o lo scopo è che uno viva in modo maturo ed efficace la fede? È il secondo così come in uno Stato lo scopo non è la pianificazione ma che la gente viva in modo più umano
L'istituzionalizzazione di un movimento gli dà qualcosa di più? Signitica qualcosa di rilevante per esso?
L'istituzionalizzazione significa che l'autorità dice: «Se avete questa esperienza siete sicuri di essere nella Chiesa». Perciò rende quella del movimento una proposta esemplare.
Esemplare vuol dire normativa?
Per nulla affatto. «Esemplare» vuol dire che se si guarda a quest' esperienza certamente qualcosa si impara ma non si è affatto obbligati a seguirla. Perché si può aver fatto un incontro più adeguato al proprio temperamento alla propria storia.
Come allora si può parlare dell'azione della Chiesa come movimento?
Nella misura in cui i singoli e il gruppo sono autenticamente partecipi della vita della Chiesa lì è la Chiesa. Dov'è la Chiesa? Dove sono le mura della parrocchia? La Chiesa è là dove è vissuta.
Il mio professore citava Comunione e Liberazione dicendo: «Cl non può arrogarsi il principio di essere Chiesa ma si può esclusivamente definire come gruppo di fedeli».
Non vorrei essere di Comunione e Liberazione se non fosse la vita della Chiesa che io porto dentro.