Utilità o meno della discussione
inevitabile comunque e utile, se è dialogo
Francesco Bertoldi
Il problema
Quanto diremo qui riguarda soprattutto l’importanza o meno della discussione da parte di credenti e soprattutto tra credenti. E questo perché mentre tra non credenti a considerare inutle la discussione ci può ressere solo una filosofia irrazionalistica, come quella di Nietzsche, alcuni credenti sostengono che sia totalmente inutile discutere. E il motivo è che discutendo non si convince nessuno e perché le cose più importanti della vita non sono esito di una discussione ma di una testimonianza.
una premessa generale
Una premessa è che c’è modo e modo di discutere: si può discutere con benevolenza, cercando insieme la verità (il primo esempio storico che ne abbiamo è quanto faceva Socrate coi suoi discepoli e con chiunque fosse interessato a discutere con lui, e teniamo presente che senza Socrate non ci sarebbero stati Platone e Aristotele, il che sarebbe stato un danno tutt’altro che insignificante per la cultura occidentale, e per quella cristiana, che ha sempre utilizzato ampiamente tali autori nel suo sforzo di pensare la fede) oppure si può discutere avendo come obiettivo unico o almeno prevalente, quello di fare prevalere quello che già si pensa. è chiaro che in questo secondo caso una discussione sarebbe inutile e sterile, anzi è addirittura produttrice soltanto di malumore, frustrazione e antipatia, se non odio. Qui per “discutere” si intende il primo senso del termine: confrontare argomenti con benevolenza, nella comune ricerca della verità.
discutere con benevolenza: possibile?
La questione è se questo secondo modo di discutere sia o meno possibile. E quindi se discutere sia intrinsecamente e necessariamente negativo oppure no. La questione rimanda più in generale all’importanza della ragione. Come per molte altre cose la ragione può essere usata bene o usata male; ma non è che per il fatto che sia possibile usarla male si debba rinunciare alla ragione. Anche la scienza può essere usata male; ma può anche essere usata bene. Quindi non è che siccome la scienza può essere usata male, si debba rinunciare alla scienza. Anche un coltello può essere usato male, ma non è che per questo noi dobbiamo rinunciare ad usare i coltelli. Come avviene anche in altri campi cioè il rischio che una cosa in sé stessa buona possa essere usata male, non deve spingerci a non usare di quella cosa. Prendiamo il campo affettivo abbiamo qualcosa di analogo: per esempio non è che per il fatto che proviamo dei sentimenti benevoli verso una persona e col rischio che questo diventi una pretesa di possesso, si debbano tagliare completamente i ponti con quella persona (o addirittura tagliare completamente i ponti con l’altro sesso). Quest’ultima non è un’ipotesi immaginaria perché per molto tempo soprattutto nella Chiesa tridentina l’unico modo che veniva consigliato a sacerdoti o consacrati di rapportarsi all’altro sesso era quello di evitarlo come la peste. Questo è un modo riduttivo di affrontare il problema; è un modo che butta via, a motivo di un possibile rischio, anche qualcosa di positivo che invece potrebbe arricchire la vita.
Per quanto riguarda la ragione che utilizziamo per confrontare argomenti in una discussione benevola è chiaro che anche lì c’è continuamente il rischio di usare la ragione in modo astratto, ideologico, poco o tanto violento. Ma questo non è l’unico modo in cui si possa usare la ragione confrontando argomenti con altri.
inevitabilità del discutere
Anche perché a ben guardare nella vita umana non è proprio possibile evitare la discussione, come confronto di argomenti. Potrebbe infatti la vita umana esistere semplicemente come comunicazione di esperienze e non anche come confronto di argomenti?
E qui potremmo distinguere tre livelli di risposta.
- innanzitutto c’è il livello diciamo che sta alla base della piramide, ossia il livello dei problemi puramente profani, per esempio i problemi di carattere medico o di carattere edilizio. In questo livello il peso l’incidenza della componente emotivo-affettiva è il più basso. E lì è inevitabile che uno confronti degli argomenti con altri argomenti e cerchi di farsi l’idea più adeguata per come affrontare un certo problema. Siccome nel caso di moltissimi problemi la soluzione non si presenta come ovvia, immediata, e condivisa da tutti, è pressoché inevitabile che uno confronti gli argomenti pro e gli argomenti contro di una determinata scelta. E siccome l’apporto intersoggettivo è prezioso, e sarebbe impoverente se uno confrointasse argomenti solo dentro di sé, qui la discussione come confronto di argomenti, oltre che utile, è inevitabile.
- Al vertice della piramide c’è la scelta della interpretazione globale della realtà, cioè la risposta da dare ai problemi ultimi. Qui l’incidenza del fattore emotivo-affettivo è massima. Perché altissima è la posta in gioco, la massima possibile. E qui effettivamente l’esperienza ha nettamente il primato su un confronto tra argomenti, nel senso che per esempio per credere in Gesù Cristo non basta argomentare e per comunicare la fede non basta argomentare. Qui è centrale una comunicazione di esperienza, una testimonianza della fede. Però nemmeno in questo ambito di vertice va esclusa l’importanza dell’argomentazione, del confronto tra argomenti. Non per nulla la Chiesa cattolica ha sempre coltivato quella parte di teologia che si chiama apologetica, ossia una difesa con argomenti razionali della fede. Sapendo benissimo che non è che uno creda innanzitutto o soprattutto perché spinto da argomenti logici, ma sapendo che anche gli argomenti logici hanno una loro importanza. Una importanza secondaria, ma reale. Così pure Don Giussani discuteva con i suoi alunni sulla credibilità della fede, segno che non riteneva totalmente inutile il confronto tra argomenti.
- C’è infine il livello intermedio tra la base e il vertice della piramide, ossia il livello di quelle scelte che riguardano questioni l’ambito profano in quanto rapportato ai problemi ultimi, come ad esempio la politica o la cultura. E lì l’affettività gioca un suo ruolo, molto maggiore che nella base della piramide, anche se minore di quello che si trova al vertice. Infatti si tratta di problemi in qualche modo collegati con la domanda sul senso della vita Anche lì l’esperienza della fede getta una sua luce, ed è quindi di grande importanza la comunicazione di tale esperienza. ma si tratta di problemi la cui soluzione non può essere dedotta immediatamente dalla fede. E quindi è inevitabile che uno cerchi anche di argomentare guidato dalla fede, confrontandosi anche con altri. Questa per esempio è la ragione per cui il Magistero della Chiesa ha pubblicato dei documenti di carattere autorevole come per esempio le encicliche sul problema sociale: dalla Rerum novarum alla Pacem in terris alla Centesimus annus, per far vedere come la fede cristiana illumina e imposta quel problema, che di per sé è profano, di per sé è comune a tutti gli esseri umani e permette così di affrontarli in modo più adeguato e più umano Ma i sommi pontefici che hanno elaborato delle encicliche sociali hanno dato degli argomenti per giustificare quello che sostenevano e un argomento in quanto tale è confrontabile con altri argomenti. Scende dalla dalla sfera della pura certezza dell’esperienza di fede, nell’arena del probabile. Dove la fede aiuta la ragione ma non assicura, con totale infallibilità, una certa soluzione. Certo, l’esperienza della fede aiuta la ragione a procedere nel modo adeguato. Ma è chiaro che in questo livello intermedio ancora di più che per quanto riguarda il livello supremo della risposta ai problemi ultimi, è necessario argomentare e quindi è necessario confrontarsi, ossia è necessario discutere. O almeno è necessario essere disponibili a confrontare i propri argomenti con gli argomenti altrui.
Quindi in sostanza non è possibile una vita in cui ci si limiti a comunicare esperienze, è necessario anche confrontare argomenti. Questo perché nella vita non ci sono soltanto cose certe, non c’è soltanto l’ambito del certo, dove è fondamentale l’esperienza e dove è fondamentale che ci sia un atteggiamento di stupore, di silenzio, di accettazione di un Dato; ma c’è anche l’ambito del probabile dove è necessario esercitare quella razionalità che un credente ha in comune con tutti gli esseri umani e a questo livello è inevitabile confrontare (auspicabilmente in modo benevolo) gli argomenti che uno ha con gli argomenti che altri hanno.
una obiezione ambigua
L’obiezione che argomentando non si convince nessuno, contiene un ambiguità. ossia da una parte è vero che l’argomentazione da sola, e soprattutto un argomentazione fatta in modo non benevolo e non all’interno di un orizzonte di stupore per un dato, può essere non solo inutile, ma addirittura controproducente. Tuttavia questo non significa che qualsiasi confronto di argomenti sia intrinsecamente negativo. E per quanto riguarda la sua utilità occorre valutare se questa obiezione non nasconda una pretesa. La pretesa cioè di misurare quanto è utile quello che diciamo. Al riguardo credo che fosse molto giusto quello che un mio amico rispose al suo suocero quando quest’ultimo gli chiese se avrebbe potuto dirgli qualcosa che secondo lui non andava riguardo alla vita coniugale. La sua risposta fu che il suocero poteva dire tutto quello che voleva, senza porsi dei limiti, Ma poi decideva lui (ossia il genero). Questa sembra la formula corretta: dire tutto quello che uno pensa, senza pretendere dall’altro, ma accettando che poi l’altro si comporti da persona umana, cioè giustamente pretenda di essere convinto di quello che fa.
Il motivo per cui uno deve prendere sul serio anche dal punto di vista razionale le critiche che gli vengono rivolte non è che, rispondendo a tali critiche in modo razionale, argomentato, uno pretenda di convincere l’altro. L’importante è che uno, spiegando le proprie ragioni nel miglior modo possibile, metta l’altro nelle migliori condizioni per poter capire. Poi è chiaro che in ultima analisi l’altro rimane comunque libero. E la libertà, lo sappiamo, davanti non solo alle stesse ragioni, ma addirittura davanti agli stessi fatti, può reagire in modo non solo diverso, ma anche diametralmente opposto: davanti alla risurrezione di Lazzaro alcuni credettero in Cristo, altri decisero, all’opposto, che andava fatto fuori. Perciò: uno ha il dovere di spiegarsi nel miglior modo possibile, attivando tutta la propria umanità, razionalità inclusa; poi se l’altro se ne lasci provocare o meno, a un certo punto è un suo problema(1) .
in conclusione
Sarebbe forse bello un mondo in cui si potesse avere a che fare solo con l'oro del certo (di ciò che è certo, essendo esperienza), e in cui gli esseri umani potessero semplicemente comunicarsi delle esperienze (dei fatti particolari). Ma il nostro mondo non è fatto così: abbiamo quotidianamente e inevitabilmente a che fare, oltre che col certo, con l'oro del certo, anche col probabile, con il bronzo, il ferro e magari il fango, del probabile: e sul probabile non può bastare condividere esperienze, ma occorre confrontare argomenti (in base anche a concetti universali).
L'importante è farlo nel modo più dialogico e benevolo possibile. Ricordando che siamo tutti membri di una stessa grande famiglia. Anzi di un unico Corpo.
Poi, certo, ci saranno anche persone con cui discutere risulterà troppo sgradevole perché ne valga la pena. Ma ciò non può essere deciso una volta per tutte e applicato in modo meccanico e schematico. Occorre l'umiltà di guardare all'altro per quello che è in quel momento.