Ingiudicabili?

è presunzione valutare dei santi?

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il problema

Quando una mia cugina, diverso tempo fa, mi regalò un libretto in cui il pontificato di Giovanni Paolo II veniva fatto oggetto di valutazione (sostenendo che non si era opposto abbastanza al capitalismo trionfante dopo la caduta del Muro), io provai un senso di indignata ribellione: “ma come si permettono questi di giudicare un sant'uomo come papa Wojtyła?”. Analogamente ricordo di aver provato un forte disagio quando uno studioso, se non ricordo male don Divo Barsotti, avanzò forti critiche verso Santa Caterina da Siena, che veniva da lui messa a confronto con Francesco d'Assisi: quest'ultimo avrebbe dimostrato una autentica umanità, mentre la senese, ad esempio quando bevve un gesto estremo per dimostrare a quella malata, che la odiava, quanto le volesse comunque benedel liquido purulento, che spurgava da una malata da lei assistita, si sarebbe dimostrata poco umana.

Col tempo tuttavia ho dovuto ammettere che anche le persone più sante possono, e anzi devono, nel loro comportamento pubblico, essere oggetto di possibile valutazione, per quanto rispettosa ed empatetica.

Qui appunto vorrei spiegare perché sono giunto a questa conclusione, che si possa, in una prospettiva di fede, criticare chi riconosciamo come più autorevole, saggio e santo di noi. Che abbia cioè senso riflettere sui limiti di persone ritenute più autorevoli, sagge e sante di sé. Il punto è che ciò dipende essenzialmente dall’intenzione e dall‘atteggiamento con cui lo si fa.

linee-guida per impostarne la soluzione

1a) Anzitutto occorre chiedersi se notare tali limiti nell’altro non risponda a un proprio interesse particolaristico, come ad esempio trovare un pretesto per non seguire quell’altro su quanto mi scomoderebbe. Occorre chiedersi se l'obbiettivo non sia “ridimensionarlo” per poterlo in coscienza seguire solo finché e in quanto mi fa comodo. E questo capita. Spessissimo si vogliono conoscere dei difetti altrui, per avere il pretesto a una condotta eticamente “rilassata”.

1b) Non andrebbe però trascurata la possibilità del rischio opposto e simmetrico a quello appena menzionato: che l'evitare di vedere i limiti della persona che seguiamo sia esso pure un modo per avere un pretesto per non metterci in discussione, per non mettere in discussione qualcosa in noi. Questo, nel caso in cui proprio quei limiti ci confermino in e ci “assolvano” da una nostra “naturale”, o meglio istintiva, non giudicata, tendenza, che è, appunto, un limite.

2) Una coordinata universalmente valida poi è non giudicare l’intenzione dell’altro. Se questo già vale per chiunque, a maggior ragione vale per chi uno riconosce come “autorevole” per sé.

Tuttavia se il punto non è di “trovare” colpe (dove l’intenzione sarebbe rilevante),

  • ma limiti (dove l’intenzione è irrilevante),
  • non riconosciuti come tali dall'altro (più santo di noi), e perciò convintamente perseguiti,
  • e aventi degli effetti pubblicamente constatabili,

allora il discorso cambia. Nel senso che i difetti morali della vita privata di un altro non sono di mia competenza, ma lo sono, o almeno lo possono essere, i limiti (indipendentemente dal fatto che essi siano o meno volontari) nella loro oggettività pubblicamente constatabile e nella oggettività dei loro effetti pubblicamente constatabili.

Qui c'è qualcosa su cui non solo posso, ma devo riflettere, anzitutto perché, nel senso qui inteso, esso è qualcosa di costantemente e convintamente perseguito, e che, come tale, può trarre in errore altri.

Lo notava, tra gli altri, San Giovanni della Croce:

«Nunca tomes por ejemplo al hombre en lo que hubieres de hacer, por santo que sea, porque te pondrá el demonio delante sus imperfecciones, sino imita a Cristo, que es sumamente perfecto y sumamente santo, y nunca errarás» (Avisos conservados por la M. María de Jesús, § 35).«Nelle tue azioni non prendere mai a modello l’uomo per Santo che sia, perché il demonio ti potrà dinanzi le sue imperfezioni; imita invece Cristo, il quale è sommamente perfetto e santo, e non sbaglierai mai» (tr.it. p. 1103, § 78).

Il Santo carmelitano mette in guardia dal fare di un altro essere umano un modello perfetto, da imitare quindi in ogni suo aspetto. E ne spiega il motivo con la azione del Maligno che in tali casi fa il possibile perché il seguace non segua tanto le virtù quanto i limiti della persona seguita.

Dato quindi che è impossibile che un qualsiasi essere umano non abbia dei limiti, l’unico modo per evitare di “seguirlo” nei suoi limiti, è che io cerchi di capire quali essi siano.

E per far questo non occorre che mi arrampichi sugli specchi: basta che io usi la dotazione conoscitiva naturale di cui il Mistero mi ha fornito (aiutata dalla preghiera e dalla Grazia), e magari tenga conto di quanto altre persone di buona volontà possono dire, non con spirito di pettegolezzo, ma per obbedienza alla verità.

una analogia

Del resto, prendere coscienza dei limiti di persone che noi stimiamo tantissimo e a cui vogliamo molto bene, è esattamente quello che uno è chiamato a fare nei confronti dei propri genitori. Uno che si rifiutasse per principio di prendere coscienza dei limiti dei suoi genitori, senza per questo smettere di stimarli e di voler loro tutto il bene del mondo, non entrerebbe mai in una condizione di equilibrata maturità. Né si vede perché uno dovrebbe rifiutarsi programmaticamente di parlarne ad alcuno, ad esempio con i propri fratelli. Ma magari anche con altre persone, purché ben disposte e non animate da intenti maliziosi.

valutare pubblicamente?

C’è però un passo ulteriore: può avere senso comunicare pubblicamente delle riflessioni sui limiti di persone “autorevoli”? Se si trattasse di rivelare dei peccati “della volontà”, no: sarebbe sbagliato. Sarebbe, nella migliore delle ipotesi, mormorazione.

Ma se si tratta di valutare comportamenti e scelte costantemente e convintamente perseguiti (qualcosa, insomma, che riguarda l’impostazione) e che sono già pubblici, sono già sotto gli occhi di tutti, allora, purché la cosa sia fatta senza pretendere di pontificare solennemente, consapevoli insomma degli stessi propri limiti conoscitivi, non sembrano esserci obiezioni di principio. Basta che le riflessioni proposte non siano presuntuosamente categoriche, e men che meno velenosamente corrosive, ma ipotetiche e riverenti. Volte unicamente a proporre, senza pretese, delle rispettose ipotesi.

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